ASCOLTARE E’ ASCOLTARSI:
THE SOUND OF SILENCE
THE SOUND OF SILENCE
Grattacieli, persone che corrono all’impazzata per
acchiappare l’ultimo treno al volo, annunci pubblicitari che ci promettono di
imparare due lingue straniere in pochi mesi, l’ultimo concerto di un ventenne
che suona duemila note al secondo nel club sotto casa.
Spazio. Tempo. Silenzio. Queste tre parole, al giorno d’oggi,
sembrano suggerirci il rapporto necessario “più spazio in meno tempo per colmare il silenzio”.
Ma perché la società (ergo noi stessi, in questo essa è nostra invenzione…ma avremo modo di parlarne) ci suggerisce ogni giorno questa equazione come soluzione vincente?
In un mondo che si è autoconvinto che i tempi siano sempre più stretti, assistiamo ad una concezione nichilista del vuoto, che ci viene presentato come “deficienza”, nella sua concezione più negativa.
Questa filosofia del di più è riscontrabile ogni giorno in ogni aspetto della nostra vita. Siamo portati a dover dimostrare al mondo di poter fare, o dire tante cose. Il nostro valore è spesso dipendente dalla logica del numero crescente: il conto in banca, la media scolastica, le auto parcheggiate nel garage.
Ma perché la società (ergo noi stessi, in questo essa è nostra invenzione…ma avremo modo di parlarne) ci suggerisce ogni giorno questa equazione come soluzione vincente?
In un mondo che si è autoconvinto che i tempi siano sempre più stretti, assistiamo ad una concezione nichilista del vuoto, che ci viene presentato come “deficienza”, nella sua concezione più negativa.
Questa filosofia del di più è riscontrabile ogni giorno in ogni aspetto della nostra vita. Siamo portati a dover dimostrare al mondo di poter fare, o dire tante cose. Il nostro valore è spesso dipendente dalla logica del numero crescente: il conto in banca, la media scolastica, le auto parcheggiate nel garage.
Viviamo nell’era del check-in online, dell’all you can
eat e del multitasking.
La scena muta è pertanto l’emblema dell’insuccesso per antonomasia. Camminare nella stessa direzione per parlarsi risulta imbarazzante. Il “bicchiere mezzo vuoto” è l’allegoria della negatività.
La scena muta è pertanto l’emblema dell’insuccesso per antonomasia. Camminare nella stessa direzione per parlarsi risulta imbarazzante. Il “bicchiere mezzo vuoto” è l’allegoria della negatività.
Siamo quindi contenitori da riempire assolutamente, pena
sprofondare nell’abisso dell’insuccesso.
L’uomo allora è in preda ad una vertigine sociale compulsiva, ed inizia a dilatare i propri spazi, sfidando addirittura il tempo.
L’uomo allora è in preda ad una vertigine sociale compulsiva, ed inizia a dilatare i propri spazi, sfidando addirittura il tempo.
Lo spartito della sua vita è fatto di virtuosismi che si
intrecciano. Senza concedersi alcuna pausa.
Ma fermiamoci un
attimo.
Perché il mondo che noi vediamo è solo frutto della
nostra interpretazione, del nostro modo di vivere.
Il silenzio causa vertigine finchè non si ha il coraggio di abbracciarlo.
Il pianista e compositore austriaco Artur Schnabel affermava “Le pause tra le note…oh, è lì che sta l’arte”.
Gli spazi sono l’elemento di respiro della musica, senza i quali essa non avrebbe senso.
Ecco che l’arte ci restituisce un mondo in cui il vuoto è pieno a tutti gli effetti, e la pausa una nota effettiva.
Il silenzio causa vertigine finchè non si ha il coraggio di abbracciarlo.
Il pianista e compositore austriaco Artur Schnabel affermava “Le pause tra le note…oh, è lì che sta l’arte”.
Gli spazi sono l’elemento di respiro della musica, senza i quali essa non avrebbe senso.
Ecco che l’arte ci restituisce un mondo in cui il vuoto è pieno a tutti gli effetti, e la pausa una nota effettiva.
Questo è un momento magico che ci permette di respirare ed ascoltare.
Le dottrine orientali di meditazione ci propongono
infatti il valore terapeutico della respirazione e del silenzio.
LE
PAUSE CI PERMETTONO DI SENTIRE.
Aprono la nostra percezione innanzitutto a ciò che ci
circonda, attraverso la nostra pura sfera sensoriale. Ci catapultano poi all’interno
di noi stessi, mettendoci a contatto con le note che vibrano nel profondo della
nostra anima.
Solo in quel momento saremo liberi. Incondizionatamente liberi. Saremo capaci di svuotare quel “contenitore” di ciò che non ci appartiene, per dire qualcosa di onesto e sincero. Qualcosa che venga dal profondo del nostro cuore, e dalla consapevolezza di essere mortali, fatti di sensi. Di non aver bisogno di millantare un “di più” che non ci serve.
Solo in quel momento saremo liberi. Incondizionatamente liberi. Saremo capaci di svuotare quel “contenitore” di ciò che non ci appartiene, per dire qualcosa di onesto e sincero. Qualcosa che venga dal profondo del nostro cuore, e dalla consapevolezza di essere mortali, fatti di sensi. Di non aver bisogno di millantare un “di più” che non ci serve.
Concediamoci, allora, di suonare le pause della nostra vita.
Apriamo occhi, orecchie e cuore a ciò che il prossimo e il mondo hanno da dirci.
Potremo allora suonare, grazie al silenzio, la vera musica dell’anima.
E potremo allora esprimere la vera arte della vita.
Apriamo occhi, orecchie e cuore a ciò che il prossimo e il mondo hanno da dirci.
Potremo allora suonare, grazie al silenzio, la vera musica dell’anima.
E potremo allora esprimere la vera arte della vita.
Pace.
Enrico
Enrico
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